Kasparhauser
2014
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Chaosmografie ■ II. Teleologia | Æsth-etica
di Jacopo Valli
Il ritorno del Paleolitico
The end of the Modern does not mean a return TO the Paleolithic, but a return OF the Paleolithic.
(Peter Lamborn Wilson)
Cosa c’è oltre [prima di?] Fides et Ratio, o, più precisamente, Glauben und Wissen? Il Desiderio forse , e, alla radice, il vedere: il vedere ciò che sotto e nei nostri occhi cinematicamente fluisce: αἰσθάνομαι.
Il sentire è anche del razionale; nondimeno, l’estetica afferisce integralmente all’attività ragionativa quanto a quella irrazionale; all’esperienza fideistica e variamente religiosa, nonché ideologicamente (già: teologicamente) progressista o passatista o restauratrice, rivoluzionaria/rivoluzionario-conservatrice, antropologicamente ottimista o pessimista, ipertecnicista e sovraumanista o bioconservatrice, o primitivista e variegatamente völkisch; infine: ad ogni attività; certamente anche oziativa ed in-attiva (ché il non-fare è taoisticamente già anche un fare riferibile al corpo che si è, ch’è modo del ni-ente che è).
Il pensare è anche dell’irrazionale; nondimanco, si può pensare al pensare, pure irrazionale, razionalmente (Jean-Luc Nancy scrive che bisogna «lavorare sui limiti e sull’intimidazione che il pensiero razionale si autoprescrive e che gli diventano intollerabili», che «si mostra con insistenza la stessa necessità, la stessa esigenza della ragione: illuminare la propria oscurità, non inondandola di luce, ma acquistando l’arte, la disciplina e la forza di lasciare che l’oscuro emetta il proprio chiarore»). Si può pensare in perdita, o anelando al dominio, o ancora solo desiderare di galleggiare. Fra le acque: si può pensare come imparare (sapere) a galleggiare; si può pensare che, prima o poi, qualcuno verrà a tirarci fuori (fede/credenza); o ci si può anche riconoscere come originariamente salvi, imparando che ci si salva solo da-sé-in-sé-per-sé (secondo Leonardo da Vinci, «Salvatico è colui che si salva» Salvatico perché non addomesticato: neppure educato ad un'idea di madre/padre Natura), che essere salvati non è ottener salvagione ma precipitare in altre ustionanti celesti acque ghiacciate; finalmente, che s’è le acque stesse, shamayim: ci si può giocare.
A è Ω: e non esiste ma è.
L’eterno presente è Aiòn, è Brahmā(n), è il Sacrificio, l’eternale differenza di sé con sé di ciò che è. Amen (così nei secoli dei secoli che non sono stati meno di quanto non siano).
Il ritorno del paleolitico, l’eterno presente, o la post-storia kojèviana: l’animale-animale diventa animale-umano e poi ridiviene animale, ma animale post-cosciente, non in-cosciente. L’incoscienza originaria potrebbe essere ripristinata solo attraverso una catastrofe: e la post-storia tale non è, per definzione (eppure è semmai dis-astro: la verità del disastro blanchotiana espressione che è). L’eterno presente intendo come condizione sempiternamente trasformativa, ricomprendente la post-cosicenza post-umana (dove l’oltreumano è una dimensione mai un ideale dell’umano non troppo umano), al di là dell’Uomo e dell’Animale.
Ora, non si è né A, né B; né di A, né di B; né per A, né per B: si è, invece, la condizione della Dialektisches Bild in Benjamin: una condizione di apertura immanente e irriducibile, esaurita nella propria inesauribilità, statica vibrazione de-forme, ordinata disordinazione di questa infinitamente presente, in-attuale Âge d’Or [Il termine oro par derivare dalla radice sanscrita us- aus-: oltre che splendere, ardere] del Chaos.
Geometric Horsehair, Untitled, 2013
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